Il Museo del Lavoro di Venturina è un pezzo di patrimonio culturale della collectività

Tempi duri per la cultura, che dovrebbe essere considerata una risorsa per il turismo e l’economia, oltre che un fondamentale elemento della civiltà di un paese. Il rischio di chiusura del Museo del Lavoro di Venturina denunciato dallo storico Benedettini è un campanello d’allarme che non deve essere trascurato.

Ciò avviene mentre il governo nazionale con la scusa della crisi taglia attività culturali e ricerca. Purtroppo anche il Comune di Campiglia sembra trascurare i tesori del suo territorio, dimenticando che anche Venturina può avere i suoi elementi di attrazione: oltre al Museo, si pensi ai laghetti di Tufaia, all’edificio romano nascosto da un’edicola in via dei Molini, ai resti di archeologia industriale lungo la Fossa Calda. Lo stesso atteggiamento vale purtroppo anche per emergenze uniche: la Rocca di San Silvestro messa sotto assedio dai camions delle cave, le testimonianze etrusche di Monte Valerio distrutte dalla vorace attività della Sales, i forni fusori etruschi a Fucinaia dimenticati e in stato di abbandono ecc. Tutto questo mentre l’edilizia avanza e il paesaggio soffre diverse ferite.

Noi crediamo che il patrimonio della cultura rurale conservato nel Museo del Lavoro debba essere attentamente studiato e reso fruibile alla cittadinanza, alle scuole e ai turisti come testimonianza della vita contadina che fino a pochi decenni fa ha costituito l’identità del comune di Campiglia e della Val di Cornia. Che non debba restare chiuso, ma pubblicizzato anche in altri punti del territorio, attraverso piccole mostre o conferenze. Ci sembra miope questo tentativo di rompere con la memoria nel nome di una modernità fatta solo di soldi e di affari.

Oggi, proprio perché c’è la crisi, è il momento di investire sulla cultura come fondamento del futuro.

Simona Lecchini Giovannoni
Comitato per Campiglia
2.6.2010

Il comunicato come appare sulla stampa:

A rischio il museo del lavoro
Il rischio di chiusura del Museo del lavoro di Venturina è al centro di un intervento del Comitato per Campiglia che ricorda come anche altri “tesori” culturali della zona siano a rischio per trascuratezza o disinteresse. E il Comitato elenca, fra gli altri, i laghetti di Tufaia, l’edificio romano nascosto da un’edicola in via dei Molini, i resti di archeologia industriale lungo la Fossa Calda. «Crediamo che il patrimonio della cultura rurale conservato nel Museo del lavoro debba essere studiato e reso fruibile ai cittadini, alle scuole e ai turisti – afferma Simona Lecchini del Comitato – Che non debba restare chiuso, ma pubblicizzato».
Il Tirreno 3.6.2010

VENTURINA – IL COMITATO PER CAMPIGLIA CHIEDE AL COMUNE DI INTERVENIRE PER EVITARE IL DEGRADO
«Il Museo del Lavoro un patrimonio da non perdere»

«IL MUSEO del Lavoro di Venturina è pezzo di patrimonio culturale della collettività». Contro la chiusura del Museo (è la prima volta che non apre nel periodo della Fiera ndr) è intervenuto il Comitato per Campiglia. «Tempi duri per la cultura, che dovrebbe essere considerata una risorsa per il turismo e l’economia, oltre che un fondamentale elemento della civiltà di un paese. Il rischio di chiusura del Museo del Lavoro di Venturina denunciato dallo storico Gianfranco Benedettini (su La Nazione) è un campanello d’allarme che non deve essere trascurato – incalza Simona Lecchini Giovannoni – anche il Comune di Campiglia sembra trascurare i tesori del suo territorio, dimenticando che anche Venturina può avere i suoi elementi di attrazione: oltre al Museo, si pensi ai laghetti di Tufaia, all’edificio romano nascosto da un’edicola in via dei Molini, ai resti di archeologia industriale lungo la Fossa Calda. Lo stesso atteggiamento vale purtroppo anche per emergenze uniche: la Rocca di San Silvestro messa sotto assedio dai camion delle cave, le testimonianze etrusche di Monte Valerio distrutte dall’attività della Sales, i forni fusori etruschi a Fucinaia dimenticati. Crediamo che il patrimonio della cultura rurale conservato nel Museo del Lavoro debba essere attentamente studiato e reso fruibile alla cittadinanza, alle scuole e ai turisti come testimonianza della vita contadina che fino a pochi decenni fa ha costituito l’identità del comune di Campiglia e della Val di Cornia. Che non debba restare chiuso, ma pubblicizzato, attraverso piccole mostre o conferenze. Ci sembra miope questo tentativo di rompere con la memoria nel nome di una modernità fatta solo di soldi e di affari. Oggi, proprio perché c’è la crisi, è il momento di investire sulla cultura come fondamento del futuro».
La Nazione 3.6.2010

 

 

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