Ripartiti gli scavi nel golfo di Baratti

Ripartiti gli scavi nel golfo di Baratti

Finito l’assalto dei bagnanti, gli archeologi sono tornati al lavoro dopo il ritrovamento di ossa umane sulla spiaggia.

Il punto esatto è davanti alla scuola di vela, al centro del litorale che costeggia il golfo di Baratti. Qui, spiega la professoressa Maria Cristina Chiaramonte, gli scavi archeologici iniziati appena lunedì scorso continueranno fino alla fine del mese di ottobre. La professoressa Chiaramonte è la titolare della cattedra di etruscologia e antichità italiche all’Università di Milano. Sul territorio di Baratti lei e la sua équipe sono al lavoro da alcuni anni: collaboratori e studiosi specializzati, a cui si affiancano alternativamente alcuni gruppi di laureandi in tirocinio coordinati da un insegnante che si chiama – per un simpatico gioco del destino – Giorgio Baratti.

Lo scavo è in regime di concessione ministeriale da parte della Sovrintendenza dei beni archeologici della Toscana (l’incaricato al proposito è Andrea Camilli), e proprio la Sovrintendenza, non più di qualche settimana fa, ha sollecitato i lavori proprio in quel punto dato che – a causa della costante erosione – non era raro che i bagnanti incappassero malauguratamente in qualche resto, anche umano, dell’antica necropoli posta nell’area.

«Quella zona – spiega la professoressa Chiaramonte – è interessante per vari motivi, sia per la storia della Populonia ellenistica e in parte romana, sia per la sua vicenda più antica, databile attorno al IX secolo avanti Cristo». In quell’epoca lontana Populonia era molto diversa rispetto al periodo dello splendore della civiltà etrusca, VI-V secolo a.C., e la città che poi si sarebbe formata prevalentemente sull’altura era sostituita da una serie di villaggi sparsi sia sulla collina, sia sulla costa, che ovviamente era molto più avanzata rispetto a ora.

«Nel 2008 qui abbiamo recuperato il piano di vita di un villaggio del IX sec., con tanto di rendiconti di strutture per la lavorazione del sale». E dato che questo genere di operazione si svolgeva all’interno di vasi che poi andavano rotti, non è stato difficile per gli archeologi milanesi rintracciarne i cocci, e lo stesso vale per i resti delle attività di lavorazione del ferro (nonché probabilmente quelle portuali) che iniziarono a svolgersi in questa zona quando la vita abitativa dell’area si spostò nell’agglomerato sull’altura. «Per adesso – aggiunge Chiaramonte – abbiamo recuperato scorie che risalgono forse al tardo periodo ellenistico.

Quest’area in quel periodo doveva essere un vero e proprio inferno. Indagini che sono state svolte anche dall’Università di Siena hanno rintracciato anche una strada che probabilmente serviva alle attività del porto e che andava da Canessa a Poggio delle Granate», ulteriore tassello che chiarisce il quadro dell’intensa attività siderurgica che doveva svolgersi in questo punto.

E la necropoli? Ovviamente risalirebbe perlopiù all’epoca dei villaggi: l’interesse dell’attuale scavo si concentra essenzialmente su quel punto in cui le tombe sono coperte da una sabbia color ocra che si accumulata nel corso del tempo, e su cui appunto l’erosione costante ha evidenziato l’ “allarme” della Sovrintendenza. «Sì – conclude Chiaramonte – anche perché noi prima eravamo sopra Buca delle Fate, poi però ci è stata segnalata questa piccola emergenza delle ossa che emergevano così facilmente, e allora siamo accorsi qui. Lo svantaggio è che non è possibile scavare da marzo a settembre e che da ottobre in poi il rischio delle mareggiate è molto alto. Una volta un’ondata ha distrutto tutto il nostro lavoro».

Melisanda A. Massei – Il Tirreno 29.9.2013

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