Baratti, l’edilizia è un affare per pochi e una fregatura per molti. Scrive Gian Franco Di Pietro

Sono uno dei privilegiati che hanno scelto Campiglia, e quindi anche Baratti, come il loro buen retiro, come ricorda spesso il sindaco di Piombino Gianni Anselmi, contrapponendoci ai “locali” e ai loro diritti; credo però che questo dato indiscutibile non ci debba impedire di prendere posizione sulle questioni urbanistiche e paesaggistiche che si pongono, sempre più di frequente in Val di Cornia, come quella, da ultimo, che riguarda Baratti, il destino del Casone e l’auspicio di Anselmi a questo proposito.

Dopo aver affermato all’ultimo Convegno di Campiglia sulle Rta che lui «non vuole morire in un presepio», il sindaco di Piombino si presenta virilmente e senza mezze misure come il profeta del cambiamento e del diritto delle popolazioni locali a perseguirlo.

Come riporta “La Repubblica” del 22 giugno, alla notizia che il Casone era stato acquistato per 5 milioni di euro insieme a circa 100 ettari, il sindaco ha auspicato che «al Casone ci facciano un albergo di lusso… la soluzione migliore, meglio che appartamenti o un nuovo centro visite». Il che mi sembra imperdonabile: perché lui è il sindaco di Piombino e, per i poteri che gli dà la legge urbanistica toscana, può decidere davvero di dare al Casone questa destinazione. E può prendere questa decisione anche a dispetto delle migliaia di cittadini che amano Baratti come un luogo sacro, uno dei vertici del paesaggio toscano e del rapporto dell’uomo col mare, nel quale “la dimensione del privato” è totalmente assente, nella continuità del golfo, della duna e della teoria dei pini monumentali.

Ma siamo sicuri che di fronte ai valori culturali, di storia e bellezza, di Campiglia, Piombino e di tutta la Val di Cornia, il diritto al cambiamento appartenga, solo e integralmente, ai “locali” e ai loro interpreti? Diritto che può riguardare anche la costruzione ex novo, in mezzo alla campagna della più evoluta orticultura toscana, a 700 metri dal mare, di un cementificio, sì avete udito bene! Possibile che il sindaco che ama il cambiamento, come noi d’altra parte, non riesca a vederlo nello straordinario paesaggio dell’orticoltura moderna, invece che nell’edilizia (affare per pochi e fregatura per molti), e nei suoi straordinari effetti figurativi: delle strette, basse e sterminate, in lunghezza, serre di plastica per la coltura dei meloni (che, scendendo da Campiglia sembrano dei laghi) e nel parallelismo delle strisce di plastica, strette e attaccate al suolo degli altri ortaggi.

Sul diritto al cambiamento, ha centrato il problema il presidente della Regione Martini quando, all’inaugurazione della Rocca di Campiglia ha invitato i “locali” a non subire la globalizzazione e la omogeneizzazione del paesaggio (garbato accenno, mi è sembrato, alle speculazioni in programma), dal momento che, tra le altre cose, visto che sulla costa toscana il paesaggio si vende più caro che altrove, è anche giusto dare qualcosa di più.

Cioè, come ricordava l’assessore all’urbanistica Riccardo Conti al convegno di Campiglia: «Non possiamo continuare a segare il ramo dell’albero sul quale siamo seduti». Quanto sopra, tuttavia, non impedisce a chi ha comprato il Casone per 5 milioni di euro, di farci un’abitazione da sceicco del petrolio, senza, naturalmente, modificare l’architettura esterna, la vegetazione e le recinzioni esistenti fatte di tamerici.

Gian Franco Di Pietro – Campiglia
(Docente di urbanistica e pianificazione del territorio all’Università di Firenze)

05.07.2008

Il Tirreno

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