Baratti, il saccheggio

Insediamenti etruschi e romani al Casone e alla scuola di vela
Baracche, roulotte e villette tra i resti archeologici del IX-VIII secolo avanti Cristo

«Le aree del Casone, delle fonti e del Centro velico sono quelle di maggiore interesse archeologico nella fascia costiera di Baratti». A sostenerlo è Andrea Camilli, ispettore della Soprintendenza. «Gli scavi condotti già una ventina d’anni fa da Fabio Fedeli nella zona della pineta e lungo la spiaggia, dove ora insiste la scuola di vela, hanno rivelato la presenza di un villaggio protostorico, di una necropoli etrusca e di una villa romana. Ed anche nella zona del Casone è certa la presenza di una necropoli etrusca, di tracce di forni fusori e di resti di una villa romana».

Ovviamente la Soprintendenza conosce gli orientamenti progettuali del piano particolareggiato di Baratti. E proprio il dottor Camilli, su richiesta dei numerosi cittadini che hanno aderito al percorso partecipato, sarà presente martedì prossimo ai tavoli dei laboratori in corso a Palazzo Appiani.

Ma la Soprintendenza le sue precauzioni le sta già mettendo in piedi, con prescrizioni precise. «Al Casone – conferma Camilli – non si potrà scavare nulla senza la vigilanza di un archeologo che segua tutto passo per passo. Le prescrizioni riguarderanno persino gli intonaci, che potrebbero essere stati realizzati utilizzando materiali più antichi di riporto». Un recupero, quello del Casone, che potrebbe dunque rivelarsi assai più costoso di quel che ci si immagina, considerando soprattutto alla trasformazione in struttura alberghiera di un edificio ora addirittura privo di fognature.

IL SACCHEGGIO:

Antica necropoli sepolta dall’abusivismo
Recinti, baracche e villini sulle tombe villanoviane di Poggio alle Granate
Lottizzazione selvaggia in piena zona archeologica con tombe del IX-VIII secolo a.C. indagate da Minto

Recinti e lucchetti, roulotte, baracche e veri villini in cemento, in parte forse ancora abusivi per il resto salvati da quel miracolo italiano che si chiama condono edilizio. E’ la zona dei villini e di Poggio alle Granate, non compresa nei confini del Parco di Baratti-Populonia, ma pur soggetta a vincolo archeologico ribadito nelle carte del piano strutturale.

Sparse in una vasta area boscata, dal piano fino alla sommità della collinetta, i resti di una necropoli villanoviana del IX-VIII secolo a.C. Le prime tombe cominciò a scavarle Antonio Minto nel 1915. La più conosciuta è quella del “rasoio lunato”, un oggetto finemente lavorato, certo appartenuto ad un personaggio di rango, come confermano gli altri reperti trovati nella spoltura: una spiralina d’oro da capelli, una placchetta d’oro con ormamenti a sbalzo ed incisioni, una collana con bacche d’oro.

Altri scavi a Poggio alle Granate hanno riportato alla luce oggetti preziosi, in un momento in cui erano soprattutto quel tipo di reperti ad attrarre l’attenzione degli archeologi.

Nella zona, a partire dagli scavi del Minto, sono state ritrovate tombe di ogni tipo: a cremazione, ad inumazione ed a camera. E in particolare all’architettura della tombe a camera ha dedicato i suoi studi Gilda Bartoloni, docente all’Università Roma 1. «Alle Granate – afferma – ci sono le più antiche tombe a camera dell’Etruria e d’Italia».

Le costruzioni sono particolari, come conferma l’ispettore delle Soprintendenza Andrea Camilli: lastre di pietra poste una sull’altra, lasciando ad ogni strato una mensolina in modo che la tomba si stringesse sempre più verso l’alto fino a chiudersi. Per Gilda Bartoloni è un’architettura molto simile ai nuraghi sardi. E questo già apre un campo di studi tutto da approfondire sui rapporti tra i villanoviani e la popolazione dell’isola.

L’equipe dell’Università di Roma ha utilizzato anche l’indagine magnetica. «Ma non abbiamo ancora un’idea delle topografia dell’area», ammette Bartoloni. Molte tombe sono state scavate, dunque, ma è difficile stabilire i confini della necropoli. E’ invece certo che da lì passava anche una strada litoranea, come conferma l’ispettore Camilli.

Che è successo dunque? Come è possibile che qui il vero padrone sia l’abusivismo? Basta percorrere la stradina che dalla Perla del Golfo entra nel bosco, poi risalire il poggio. Decine di piccoli lotti, recinti protetti da teli verdi, baracche di legno e di lamiera, tavoloni da pic-nic accanto alle tombe. E poi il cemento, che negli anni ha sostituito il precario. Apriamo un cancello, nonostante il cartello “proprietà privata”, e ci appaiono vere villette con tanto di vialetti e giardini. Torniamo indietro, sullo sfondo di un tramonto incredibilmente bello, con due domande: come è stato possibile e chi doveva controllare?

GIORGIO PASQUINUCCI

Il Tirreno 19.12.2010