«Cave, 400 posti a rischio» Lettera aperta di dipendenti di aziende estrattive

Concessioni per le cave: un gruppo di dipendenti delle società impegnate nelle attività estrattive hanno scritto una lettera aperta per chiedere garanzie per il futuro dopo che è emersa la volontà di non rinnovare i permessi. Insomma, quando le concessioni raggiungeranno la loro chiusura (2018) queste automaticamente dovranno cessare e quindi procedere con il ripristino ambientale sulle aree oggetto delle avvenute attività estrattive.

A questo proposito, i lavoratori, dipendenti delle Cave di Campiglia, Minerali Industriali, Sales, e Calce San Pellegrino, ci hanno fornito un documento (sottoscritto personalmente da molti dipendenti) non intendono essere esclusi da queste decisioni che, a quanto pare, cadono sulla loro testa e, «…in qualità di addetti al settore, -dicono nel documento – ci sentiamo legittimati ad esprimere anche il nostro pensiero e le nostre considerazioni in merito alla questione». Poi, i lavoratori proseguono «…nonostante la pesantissima crisi che coinvolge l’intero paese, le attività estrattive del territorio l’hanno affrontata senza ricorrere agli ammortizzatori sociali quindi senza scaricare sulla collettività il costo di una crisi provocata da altri; entrando nel merito degli interventi che si sono susseguiti sull’argomento, in primo luogo va ricordato l’impegno che gli amministratori locali si erano assunti con noi lavoratori durante la campagna elettorale e che oggi sembrerebbero voler disattendere.

In secondo luogo –dicono ancora i lavoratori delle cave – se da un lato potrebbe apparire più fattibile la ricollocazione dei pochi lavoratori presenti nelle Cave di Monte Spinosa/Montorsi, più complicata se non addirittura irrealistica ci pare la dismissione dell’attività e la contestuale ricollocazione dei circa 400 addetti che tra diretti e indotto operano quotidianamente nel settore a livello locale. Più complicato ci pare anche per le ricadute negative (aumento dei costi delle materie prime per tutto il settore costruzioni e messa in discussione del futuro di insediamenti produttivi quali Lucchini e Solvay) che la dismissione delle attività comporterebbe per l’intera economia provinciale.

Detto questo, non vogliamo apparire totalmente contrari a tali ipotesi dismissive, ma chi si pone oggi aprioristicamente contrario ad eventuali proroghe delle concessioni sappia che noi addetti del settore pretendiamo che ci venga garantito un altro posto di lavoro in cui ci siano riconosciuti gli stessi diritti, la stessa sicurezza occupazionale e anche gli stessi livelli salariali che oggi abbiamo; o quanto meno ci aspettiamo che i vari leader di comitati, partiti e associazioni ambientaliste, avversi a tali attività, vorranno garantire anche a noi gli stessi diritti che loro hanno e pretendono».
p.b. La Nazione 24.9.2011