CNA: «Un suicidio la chiusura delle cave»

CNA: «Un suicidio la chiusura delle cave»

La CNA esprime un secco no al sindaco. «Abbiamo un prodotto di qualità, il microcristallino, valorizziamolo»

CNA contro la chiusura delle cave. «Sarebbe un suicidio per l’economia locale». A spiegare questa presa di posizione è Marco Valtriani, direttore della Cna provinciale intervenendo sul dibattito innescatosi in questi giorni sul futuro della cave di Campiglia.

«Microcristallino col 99% di purezza: dovrebbe bastare questo dato tecnico che rende le cave di Campiglia e la cava della Solvay a San Carlo uniche in Toscana in questa tipologia di materiale e tra le pochissime in Italia, a far capire come sia irragionevole anche solo pensare di rinunciare ad un volano di sviluppo del genere per la Val di Cornia e ad una attività estrattiva riconosciuta come strategica per l’industria toscana dalla Regione, dalla Provincia e dallo stesso Comune di Campiglia».

E sulla questione del riuso. «Ben venga la politica del riciclo dei materiali che possono utilmente venire dalle bonifiche, ed il piano promosso dal presidente di Asiu Valerio Caramassi che va approfondito e sostenuto, ma qui stiamo parlando di una cosa diversa, di un prodotto di elevata qualità indispensabile per l’acciaio del futuro forno elettrico della Aferpi, per la produzione di bicarbonato della Solvay a Rosignano, per il vetro della St. Gobain di Pisa e per la produzione di altre industrie come la Knauff, la Tioxide, l’impianto Enel di Civitavecchia, solo per citare alcuni fra i principali acquirenti del microcristallino che qui si estrae e che costituisce il 95% del fatturato della Cave di Campiglia.

Aggiungo un altro dato tecnico: sul prezzo dei prodotti da cava, incidono in modo enorme i costi di trasporto; tradotto significa che chiudendo le cave della Val di Cornia si metterebbero fuori mercato le locali produzioni di acciaio, bicarbonato e vetro che dovrebbero far venire il materiale da Terni o Lecco (guarda caso cave con vicino importanti acciaierie), con devastanti effetti sull’occupazione. Non si sta infatti parlando di uno o due camion, ma di centinaia di migliaia di tonnellate di materiale che adesso sono quasi a chilometro zero. Stessa problematica per le importanti opere strutturali che dovranno realizzarsi nei prossimi anni in provincia solo pensando ai porti, che avranno bisogno non solo di materiali da riciclo ma anche di blocchi. Si rischia un gigantesco effetto domino sull’industria che rappresenterebbe un vero suicidio economico ed occupazionale. 

Al contrario, serve ragionare e subito su come dare futuro certo ad una preziosa attività estrattiva del genere, così da permettere agli imprenditori di fare quegli investimenti di decine di milioni di euro già progettati (ed in parte già spesi) in termini di innovazione e soprattutto di occupazione, e di tranquillizzare le industrie locali già citate sugli approvvigionamenti. Dalla classe politica locale – conclude Valtriani – ci aspettiamo adesso questo: competenza, lungimiranza, certezza delle scelte in coerenza con quanto inserito nei programmi elettorali, altrimenti gli investitori gireranno ben alla larga dalla Val di Cornia».

La Nazione 24.9.2015

È PERICOLOSO PERDERE DI VISTA IL BENE COMUNE

di GUIDO FIORINI

Il dibattito sui rifiuti industriali e i possibili utilizzi dei prodotti di Rimateria, quel conglomix che può essere alternativa meno costosa ai materiali vergini per i riempimenti e le bonifiche, ha preso una deriva inattesa. Il progetto illustrato da Valerio Caramassi, al quale proprio Cave di Campiglia ha dato valutazione positiva, è finalizzato da una parte a portare ricavi ad Asiu e dall’altra ad allungare la durata delle cave di materiali vergini, riducendo nel tempo il consumo.

Si traccia un percorso, ma non sta scritto da nessuna parte che le cave vadano chiuse domani. Del resto dietro alle cave ci sono imprese che hanno investito e che sono pronte a farlo ancora e centinaia di posti di lavoro, fra diretti e indiretti.

La Val di Cornia sta vivendo uno dei momenti più delicati dal dopoguerra, l’arrivo degli algerini ha portato un po’ di ossigeno e di speranza, ma l’incertezza regna ancora sovrana per migliaia di famiglie e certo non è il momento di perdere anche questi posti di lavoro.

Non possiamo pensare che questa sia una strategia politica per il futuro dell’area. Temiamo che invece si guardi solo a piccole vendette personali all’interno del Pd. La parte vincente vuole schiacciare l’altra come la testa di un serpente, senza pensare alle conseguenze sociali. Eppure già Scipione l’Africano diceva “Hosti non solum dandam esse viam ad fugiendum, sed etiam muniendam” (Al nemico non solo bisogna concedere una via per scappare, ma anche rendergliela sicura).

Questa manovra, però, non venga spacciata per rinnovamento. Non crediamo che si possano regolare conti interni sulla pelle delle famiglie. Matteo Tortolini, la cui storia politica non può essere ridotta ai soli campigliesi, è già stato messo fuori dai giochi. Adesso gli obiettivi sono altri, quelli che hanno avuto l’onestà intellettuale di non voltargli le spalle, ma si sta perdendo di vista il futuro del territorio.

Le cave hanno un impatto ambientale che va ridotto, non c’è dubbio, ma hanno anche un’importanza strategica per l’industria toscana, in particolare per quella costiera. Nelle tre cave della zona (Campiglia, Sales e quella della Solvay) si estrae quel microcristallino che è materiale raro al punto che in Toscana si trova solo qui.

Sono molte le aziende che lo usano: fra le altre serve alla Solvay, ma servirà anche ad Aferpi per i forni elettrici, nella stessa quantità che usava l’altoforno. E le dighe al porto con quali materiali si vogliono fare? Il conglomix andrà nei riempimenti, non certo nelle barriere. E il calcestruzzo? Per questo la Provincia, nell’ultimo piano delle cave, parlava di attività strategica per l’industria toscana.

E per questo lo stesso Pd della Val di Cornia ha inserito le cave nel programma elettorale per le ultime regionali, in un documento del dicembre scorso che fu approvato dall’assemblea. “Si tratta – si legge – di attività produttive che hanno innegabili riflessi sul sistema ambientale, ma forniscono materiale fondamentale anche per il futuro polo siderurgico, per le infrastrutture, l’edilizia, le opere pubbliche portuali, oltre ad essere parte di una filiera più ampia che parla ad un pezzo significativo del sistema industriale toscano (chimica)”. Per cui si ipotizzano: “Soluzioni di coltivazione che non potranno prescindere da opere di ripristino e da innovazione ambientale.

Immaginiamo una prosecuzione delle attività estrattive nelle cave solo alle condizioni di cui sopra”. Si mettevano condizioni ambientali, com’è giusto, ma si parlava di una prosecuzione delle attività. Ci chiediamo cosa possa essere cambiato adesso, cosa spinga a spezzare quel fondamentale e prezioso filo rosso che guidava una strategia politica che guardava sì all’ambiente, ma anche al bene comune e non ai rapporti personali. E ci chiediamo se a queste condizioni gli imprenditori siano ancora disposti a investire e se i clienti, fra cui delle multinazionali, abbiamo quelle certezze che sono necessarie per le loro commesse. Di tutto ora ha bisogno la Val di Cornia meno che della messa in discussione di attività che funzionano.

Il Tirreno 24.9.2015

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