Dalla parte di Anna Marson. Da Baratti a San Casciano (passando per Rimigliano)

Scrive il prof. Franco CAMBI.

In quello che è stato definito “l’autunno caldo dell’urbanistica toscana”, io sto dalla parte dell’Assessore Anna Marson, non solo un tecnico, come si suole dire, prestato alla politica, ma una studiosa colta e sensibile, tanto per il ruolo accademico che riveste quanto per le profonde capacità di lettura, di analisi e di interpretazione dell’economia e della società toscane dei nostri tempi.  Pensate: nel lungo autunno durato quanto è durato il mandato del suo predecessore, quell’assessorato regionale sembrava un porto delle nebbie. Da un anno a questa parte, quello stesso assessorato è luogo di scambi, di confronti aperti, di autentiche innovazione, sperimentazione e progettazione, tornando ad essere un organo di amministrazione all’altezza delle tradizioni civili e politiche di questa regione.

In quello che può essere definito un giorno grigio per l’urbanistica toscana, oggi, la Giunta Regionale della Toscana ha approvato il progetto di “traslazione” in altra sede dei resti etruschi e romani di Ponte Rotto (San Casciano Val di Pesa). Sono pienamente condivisibili, in questa circostanza, le perplessità dell’assessore all’urbanistica Anna Marson. Perché? Per chi conosce l’assessore Marson è facile rispondere: Anna è un’urbanista territorialista e sa, quindi, che l’approccio moderno alla pianificazione deve essere strategico (contemplando economia, società, salute, cultura) e non settoriale, ovvero indotto e condizionato da un solo aspetto o, peggio, da singoli interessi o gruppi di potere.

Da archeologo posso affermare che la scelta dello spostamento è inutilmente costosa, contraddittoria e dannosa. Sull’inutile costo, peraltro sostenuto dalla collettività, non c’è bisogno di commentare. La contraddizione sta nella difficoltà di spiegare ai cittadini le ragioni di queste decisioni e gli effetti incomprensibili di questo modo di operare. Il danno è, ovviamente, nella perdita di sostanza del racconto storico quale può essere desunto dall’archeologia. In fondo era semplice: se era proprio indispensabile costruire quello stabilimento, e se i ritrovamenti erano di carattere, per così dire, ordinario, si poteva prima scavare l’insediamento antico, studiarne i reperti, pubblicare il tutto e, dopo avere dato trasparente pubblicità all’iniziativa, si poteva anche pensare di obliterare il sito antico con il nuovo insediamento industriale.

Da archeologo attento alle storie dei paesaggi antichi provo orrore per questa mutilazione cruenta fatta passare per operazione di tutela. Mi fa pensare ad una sorta di contrabbando di organi legalizzato: si tolgono queste strutture da qui e le si reinnestano in un bel prato verde un po’ più in là. Il caso “Ponte Rotto” sarà oggetto, nel prossimo inverno accademico, di numerose lezioni su come non si devono gestire i beni archeologici, di questo si può star sicuri. Nelle Università, un po’ libertà ancora sopravvive. Purtroppo rischia anche di fare giurisprudenza, o costituire un precedente.

Evidenziando le numerose criticità presenti nella circostanza, Anna Marson ha lanciato un segnale forte: la tutela del patrimonio non soltanto archeologico, ma, più generalmente, culturale, italiano, non solo toscano, da qui in avanti è in pericolo, in assenza di approcci generali e strategici. La tutela non può più essere scritta, e fatta, da archeologi, architetti, storici, storici dell’arte, antropologi  ecc., bravissimi come studiosi ma restii a guardare oltre lo steccato del loro dominio disciplinare o accademico. La tutela sarà fatta da figure professionali capaci di vedersi fra loro e di parlare fra loro un linguaggio condiviso, senza più afasie o sordità, e capaci di interloquire con la politica, con il mondo del lavoro, con la società. Quello che hanno deciso i nostri Colleghi archeologi, delle varie Soprintendenze e del Comitato di settore, può anche rivestire una piena legittimità giuridica ma porta a esiti infelici. E suscita perplessità proprio per la limitata possibilità di spiegare al pubblico quanto è accaduto. Quale è l’effettiva consistenza documentaria di quell’insediamento?  Quanto è grande? Perché ostinarsi a negare comunicazione, informazione e partecipazione? Perché non cercare altri pareri e altri modi di vedere?

Come è facile intendere, ad alcune di queste domande soltanto gli archeologi possono dare risposte e vogliamo credere che i Colleghi che hanno istruito fin qui le diverse pratiche abbiano consapevolmente ritenuto di non avere bisogno di altre competenze. Ma allora, e questo rimane l’interrogativo cruciale, comunicate, spiegate, fate capire.

La tutela vera, dovendo essere necessariamente trasparente, non può essere nascosta da steccati, teloni, barriere. Deve avere una dimensione inevitabilmente pubblica. La strada è lunga e faticosa ma è quella, non ce ne sono altre.

Franco Cambi
Docente di Archeologia dei Paesaggio
Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti
Università di Siena

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Un pensiero su “Dalla parte di Anna Marson. Da Baratti a San Casciano (passando per Rimigliano)

  1. Il caso del Ponterotto credo sia pericolosissimo sia come caso in se stesso (conosco bene la zona e posso dire che dal punto di vista ambientale vale la tutela figuriamoci se in aggiunta a questo valore se ne aggiunge uno anche storico archeologico) sia come precedente: da ora in poi la risoluzione è semplice …si sposta tutto. no comment!

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