Il problema degli inerti in Toscana. La distruzione delle colline della Val di Cornia

Il problema degli inerti in Toscana. La distruzione delle colline della Val di Cornia

Sintesi e conclusioni presentate dal Presidente del Comitato per Campiglia, Alberto Primi, all’Assemblea della Rete dei Comitati – Firenze 8 marzo 2014

LIVELLO NAZIONALE

E’ indispensabile che lo Stato approvi una legge nazionale che definisca in maniera uniforme per tutte le Regioni gli standard di tutela dell’ambiente e quindi fissi limiti e criteri per l’attività estrattiva in materia di aree da tutelare, di recupero dei siti, di procedure per le aree sottoposte a vincolo.

E’ indispensabile che tutte le Regioni e le Provincie si dotino di PRAE e PAERP uniformati ai criteri omogenei fissati dallo Stato.

E’ indispensabile che tutte le attività estrattive di qualunque entità siano sottoposte a procedura di V.I.A.

E’ indispensabile che lo Stato fissi i criteri di dimensionamento e destinazione dei canoni di concessione e per i trasferimenti in discarica dei materiali inerti riciclabli.

E’ indispensabile rivedere la legislatura sull’uso di materiali inerti riciclati, allineandosi alle direttive ed orientamenti della Comunità Europea

E’ indispensabile che venga promossa e incentivata con parte dei canoni di concessione, la realizzazione di impianti di lavorazione degli inerti di cava, di resulta da demolizioni e di altri materiali idonei riciclabili.

E’ indispensabile un coordinamento delle competenze ed informazioni a livello nazionale per ostacolare i comportamenti non corretti e ostacolare infiltrazioni malavitose nel settore estrattivo, dei materiali riciclabili e dei rifiuti.

LA REGIONE TOSCANA

La Regione Toscana il 3 Novembre 1998 si è dotata della legge 78 (con successivi aggiustamenti introdotti dalla legge 1/2005) per regolare il settore delle cave di inerti, delle cave di materiali ornamentali, delle cave di argilla, delle torbiere e dell’uso dei materiali riciclabili.

Tutto il settore fa riferimento a questa legge che si attua su quattro punti:

Definizione dei contributi che i concessionari di cave devono versare;

P.R.A.E.R. (Piano regionale delle attività estrattive, di recupero delle aree escavate e di riutilizzo dei residui recuperabili) che definisce sia obiettivi e gli indirizzi di riferimento per la pianificazione degli Enti Locali, ponendo a loro disposizione il quadro conoscitivo generale delle risorse, dei vincoli, delle limitazioni d’uso del territorio e dei fabbisogni, nonché il dimensionamento dei materiali prelevabili dall’escavazione e di quelli provenienti dal recupero;

P.A.E.R.P. (Piano delle Attività Estrattive, di Recupero delle aree escavate e Riutilizzo dei residui recuperabili della Provincia ) con il quale ogni provincia attua le previsioni del PRAER apportando eventuali correttivi;

Autorizzazioni rilasciate dai Comuni in base ai P.A.E.R.P.

1) LA LEGGE REGIONALE 78/98

Occorre riconoscere che le trasformazioni del paesaggio determinate dalle cave e miniere anche se rinaturalizzate, rappresentano modifiche irreversibili e macroscopiche. In questa ottica vanno considerate alla stregua di tutte le modifiche sostanziali ed in quanto tali devono essere regolate in maniera conseguente. E’ indispensabile quindi che la Regione e i Comuni considerino i piani di coltivazione come piani attuativi vincolandoli alla attivazione preventiva di processi di informazione e partecipazione dei cittadini come tutti i piani di gestione del territorio, che siano Piani Strutturali , Regolamenti urbanistici, Lottizzazioni o Piani di Recupero.

Poiché i materiali di cava, torbiere e miniere sono beni non rinnovabili, prima di utilizzarli occorre impiegare i materiali riutilizzabili. Perché questo possa attuarsi occorre introdurre criteri di definizione dei canoni completamente diversi dagli attuali, che di fatto continuano a privilegiare l’uso dei materiali vergini estratti da cave. Occorre inoltre che sia sancito il criterio che in tutti gli interventi pubblici devono essere utilizzate alte percentuali di materiali riciclati, anche superiori all’attuale 30% e che questo criterio sia allargato anche agli interventi privati.

I canoni dovranno essere utilizzati non solo per sostenere i costi di manutenzione delle urbanizzazioni, degli iter burocratici e del controllo sanitario, ma in massima parte per attivare reali controlli (preferibilmente  affidati ad un organismo sovracomunale), impianti di recupero dei materiali riciclabili, per rinaturalizzare le cave dismesse e abbandonate, per incentivare il nascere di altre attività di lavoro che garantiscano la conservazione e tutela dell’ambiente e per incentivare anche nel settore privato l’utilizzo di materiali riciclati.

Occorre elaborare norme più rigide che riguardino il comportamento che le amministrazioni devono adottare di fronte a richieste di modifiche di Piani di Coltivazione approvati. In troppi casi infatti hanno concesso, a volte con semplici atti del dirigente e senza alcuna discussione in Consiglio Comunale, aumenti vertiginosi dei volumi estraibili, prolungamenti delle date di scadenza delle autorizzazioni, deroghe e sanatorie che hanno impedito il rispetto dei piani di coltivazione originariamente approvati e il tutto senza nessuna partecipazione dei cittadini che vedono il loro territorio distrutto a danno di altre attività come il turismo culturale e l’agricoltura di qualità.

Le Soprintendenze sia ai monumenti che archeologiche, devono essere fortemente sollecitate a rivedere i limiti delle aree sottoposte a vincoli paesaggistici e archeologici e i criteri di controllo, per evitare che  i processi di escavazione determinino perdite irreversibili di un patrimonio che potrebbe creare attività veramente finalizzate alla conservazione e tutela del paesaggio.

2) I CONTRIBUTI

E’ evidente che per la Toscana come per tutte le regioni deve essere riaffrontato il problema dei canoni di concessione. L’aumento dei canoni deve essere decisamente forte in modo che, insieme ad una maggior tassazione per i conferimenti in discarica, favorisca, quasi obblighi, al potenziamento localizzativo e tecnologico degli impianti di trattamento dei materiali riciclabli. I conseguenti maggiori contributi permetterebbero di attivare tutta una serie di incentivi per il recupero delle cave dismesse e abbandonate, per creare nuovi posti di lavoro, ad esempio del settore riciclo, per determinare una inversione di tendenza nel consumo dei beni non rinnovabili e per controbilanciare l’eventuale minore occupazione nelle cave, ( ad esempio risulta che ogni mc/100.000 cavati annualmente determina una occupazione media di 9 addetti, mentre in un impianto di riciclo a pari produzione gli addetti possono essere 12). Infine i contributi dovrebbero anche essere finalizzati all’incentivazione di attività che contribuiscano alla tutela e manutenzione del paesaggio (agricoltura di qualità, turismo culturale).

Dobbiamo entrare nell’ottica di considerare tutti i beni non rinnovabili come beni comuni e che quindi la collettività, concedendone l’uso, ha diritto di essere rifusa adeguatamente e non compensata con una specie di elemosina. Ma innanzi tutto proprio perché si tratta di beni comuni non rinnovabili, occorre arrivare a ridurre drasticamente il numero di cave attive nel campo degli inerti e di quelle di materiali ornamentali quando servono in massima parte a produrre granulati e sabbie calcaree invece che lastre.

 

3) IL P.R.A.E.R. DELLA TOSCANA

Possiamo dire che inevitabilmente il P.R.A.E.R. oltre a non avere alcuna efficienza programmatica per la vetustà dei dati di riferimento e per la corrispondenza nulla tra previsioni e realtà,  soffre delle carenze della legge 78/98: contiene principi ideali e programmatici condivisibili, ma alla verifica dei fatti non indica gli strumenti finanziari e normativi con cui raggiungere le finalità dichiarate; continua di fatto a privilegiare il fattore occupazionale in cava senza dire cosa fare quando l’economia di cava è in conflitto con altre economie,  incrementa il numero di cave.

4) IL P.A.E.R.P. DELLA PROVINCIA DI LIVORNO

Si basa su dati ormai superati;

  1. Dimentica di indicare l’esistenza di un impianto di riuso dei materiali di scarto delle acciaierie in grado di trattare milioni di metri cubi di scorie e non promuove fattivamente processi di riutilizzo di materiali riciclabili;
  2. Non suggerisce alla Regione neppure quali sono i provvedimenti legislativi ed economici necessari per raggiungere gli obbiettivi che dice di voler attuare;
  3. Non auspica una nuova definizione dei canoni a livello quantitativo e di destinazione che permettano di sviluppare il recupero delle cave dismesse e di dare gli incentivi necessari a sviluppare attività di recupero di materiali da riciclare;
  4. Sceglie di trasformare il Campigliese in un distretto estrattivo rendendo ancora più critica la situazione ambientale, già dichiarata preoccupante dallo stesso PAERP, e soffocando le possibilità di sviluppo di attività in crescita in ambito agricolo e turistico.
  5. Non tiene sufficientemente conto delle direttive europee sopraggiunte dopo la attivazione del PRAER.
  6. Non tiene conto delle indicazioni del Piano Paesaggistico che è stato completato e posto all’esame della Commissione regionale.

In base a queste constatazioni possiamo dire che il Piano provinciale, adottato nel Gennaio 2014 e valido fino al 2022, è totalmente da respingere e che l’opzione già delineata nella Relazione del Piano, e respinta,  “… di proporre un piano che non individuasse alcuna nuova previsione localizzativa e che si limitasse a confermare i siti attualmente in attività fino alla scadenza delle autorizzazioni senza ulteriori rinnovi”, sembra invece essere l’unica soluzione corretta visto che la Normativa Regionale (78/98) è in corso di rielaborazione, che i canoni sono stati definiti nel 2000 con finalità abbondantemente superate dalle nuove esigenze in materia di ripristini e riciclo, che il  P.R.A.E.R., che il P.A.E.R.P. dovrebbe attuare, è scaduto nel 2012 ed è stato redatto e approvato quando il quadro economico internazionale e nazionale non era stato ancora stravolto dalla crisi strutturale che si è evidenziata nel 2008.

Campiglia Marittima 8 Marzo 2014

Comitato per Campiglia

Clicca qui per leggere la versione integrale della relazione

Sulla stampa:

La Nazione 12.3.2014:

CAMPIGLIA LE «OSSERVAZIONI» DELL’ASSOCIAZIONE GRUPPO DI INTERVENTO GIURIDICO
«Cave, piano tutto da rivedere»
Sulla stessa linea anche il presidente del Comitato Alberto Primi

«Il piano delle attività estrattive è da rivedere profondamente». A bocciarlo è il Gruppo d’intervento giuridico, l’associazione ecologista da sempre a sostegno dell’attività del Comitato per Campiglia, ha infatti inoltrato un atto di intervento con “osservazioni” nel procedimento per l’approvazione del Piano delle attività estrattive, di recupero delle aree escavate e di riutilizzo dei residui recuperabili (P.a.e.r.p.) della Provincia di Livorno. Ma le stesse osservazioni sono state fatte dal presidente del Comitato per Campiglia, Alberto Primi, durante l’assemblea della Rete dei Comitati.
«Il piano delle attività estrattive si basa su dati ormai superati – spiega Primi – dimentica di indicare l’esistenza di un impianto di riuso dei materiali di scarto delle acciaierie in grado di trattare milioni di metri cubi di scorie e non promuove fattivamente processi di riutilizzo di materiali riciclabili; non suggerisce alla Regione neppure quali sono i provvedimenti legislativi ed economici necessari per raggiungere gli obbiettivi che dice di voler attuare. Inoltre non auspica una nuova definizione dei canoni a livello quantitativo e di destinazione che permettano di sviluppare il recupero delle cave dismesse e di dare gli incentivi necessari a sviluppare attività di recupero di materiali da riciclare – continua Primi – sceglie poi di trasformare il campigliese in un distretto estrattivo rendendo ancora più critica la situazione ambientale, già dichiarata preoccupante dallo stesso Piano, e soffocando le possibilità di sviluppo di attività in crescita in ambito agricolo e turistico. Non tiene sufficientemente conto delle direttive europee sopraggiunte dopo la attivazione del Piano stesso, né delle indicazioni del Piano paesaggistico che è stato completato e posto all’esame della Commissione regionale. In base a queste constatazioni possiamo dire che il Piano provinciale, adottato nel gennaio 2014 e valido fino al 2022, è totalmente da respingere e che l’opzione già delineata nella relazione del Piano, e respinta, “di proporre un piano che non individuasse alcuna nuova previsione localizzativa e che si limitasse a confermare i siti attualmente in attività fino alla scadenza delle autorizzazioni senza ulteriori rinnovi”, sembra invece essere l’unica soluzione corretta visto che la normativa regionale (78/98) è in corso di rielaborazione, che i canoni sono stati definiti nel 2000 con finalità superate dalle nuove esigenze per ripristini e riciclo».
Sulla stessa linea anche il Gruppo d’Intervento Giuridico onl: “Dal 2001 al 2010 dalle cave di Monte Calvi, Monte Valerio e San Carlo sono stati scavati 13 milioni di metri di cubi di calcare e, secondo il piano, nei prossimi anni si potranno scavare altri 20,4 milioni di metri cubi, un volume che equivale a circa 68 mila abitazioni per una città di 200 mila abitanti. Previsioni veramente esagerate, assolutamente ben poco rispettose dei valori ambientali e storico-culturali.Un piano, quindi, da rivedere profondamente».

image_pdfSalva Pdfimage_printStampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *