La discarica di Rimateria nel mirino della procura antimafia

La discarica di Rimateria nel mirino della procura antimafia

I rifiuti pericolosi, spesso già taroccati, arrivano da mezza Italia e alla Lonzi e alla Ra. Ri. venivano lavati illegalmente anche grazie alla complicità del laboratorio di analisi e poi da Livorno raggiungevano le discariche di Piombino e Rosignano.

È questo il sistema criminale – secondo la procura antimafia di Firenze – che avrebbe trasformato per anni la provincia di Livorno in una terra dei fuochi in miniatura, dove tutti sapevano e nessuno denunciava gli illeciti.

Accuse pesantissime che riguardano una materia molto delicata e che dovranno essere dimostrate a processo dove molto probabilmente compariranno i vertici delle maggiori aziende toscane e non solo che si occupano del ciclo dei rifiuti.

Il capo d’imputazione che meglio racconta l’ipotesi degli investigatori è quello che ipotizza un’associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito che veniva gestito da Lonzi e Ra. Ri. e dove i rifiuti, una volta abusivamente macellati, erano conferiti in discariche non appropriate accompagnati da falsi certificati.

Venti le persone coinvolte in questo troncone di indagine che per gli investigatori veniva strutturato in otto fasi. A cominciare dall’abusiva miscelazione e classificazione dei rifiuti prodotti, ad esempio dalla Rosso srl. «Era invalsa – si legge – una procedura di lavorazione e trattamento di concerto con il produttore per occultare la reale natura dei rifiuti, anche previa miscelazione, facendogli perdere la loro tracciabilità, così da poterli poi inviare da parte dei titolari di Lonzi e Rari, con falsi codici Cer, alla discarica Rea di Rosignano e a quella di Rimateria a Piombino, provvedendo a mascherare i rifiuti pericolosi in non pericolosi.

Un ruolo decisivo, secondo l’ipotesi accusatoria, l’avrebbe avuta chi doveva controllare la reale natura dei rifiuti attraverso le analisi di laboratorio. Ecco perché nella lista degli indagati compare il nome di Patrizia Vianello, rappresentante legale di Ambiente Spa, perché avrebbe dato «disposizioni e istruito Giacinto Galatà, responsabile del laboratorio, e Fabrizio Burzagli responsabile di Ambiente per i rapporti con Accredia, (la banca dati dei laboratori accreditati ndr), di effettuare in modo seriale, consolidato ed evidentemente in esito a un protocollo (abusivo) concordato con i titolari degli impianti, i campionamenti dei rifiuti a Lonzi e Ra. Ri. , con modalità del tutto difformi dai protocolli operativi standard di un laboratorio accreditato, con una tempistica dedicata a tale operazione di prelievo tale da non consentire che il campione da analizzare fosse effettivamente rappresentativo della partita dei rifiuti da smaltire».

Tanto da produrre «campioni artefatti allo scopo di ottenere risultati conformi alle attese alle aspettative dei gestori dell’impianto». Delicata la posizione di chi riceveva i rifiuti che da pericolosi sarebbero stati trasformati in non pericolosi prima di arrivare alle discariche di Rea e Rimateria.

Come i vertici delle due aziende avrebbero potuto sapere che quei rifiuti non potevano essere accolti? Nell’ipotesi che riguarda Valerio Caramassi, presidente del Cda di Rimateria (indagato anche per la truffa ai danni della Regione), Dunia del Seppia e Massimiliano Monti, dirigenti di Rea, la Dda di Firenze spiega come i tre «ricevevano quantitativi di rifiuti pericolosi e non pericolosi, ma inidonei al conferimento in discarica inviati da Lonzi e Ra. Ri.

Il Tirreno 17.4.2019

image_pdfSalva Pdfimage_printStampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *