La foresta di cemento cresce in silenzio. Scrive Alfonso M. Iacono

Vi è un proverbio cinese che suona così: “Una quercia che cade fa molto rumore; ma una grande foresta cresce in silenzio”. Ho letto questa frase nel libro Salvatore Settis, Paesaggio, Costituzione, Cemento. La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile, che ho presentato e discusso a Pisa, in un dibattito organizzato alcuni giorni fa dal Comune, assieme all’autore, al Presidente della Regione Enrico Rossi, al prof. Antonio Pinelli, al sindaco Marco Filippeschi.

La foresta che cresce senza fare rumore è il cemento che è avanzato e che avanza inesorabile sulle coste e sul territorio italiano e toscano. Lunedì lo stesso Settis ha denunciato il caso di San Vincenzo, con la costruzione di centinaia di case e con il porto turistico che probabilmente toglierà di mezzo l’arenile. Un grido d’allarme è lanciato da Roberta De Monticelli per il porto di Cecina, del quale Italia Nostra ha scritto: “Da un punto di vista paesaggistico, il progetto si presenta come un vero e proprio stupro; dal punto di vista ambientale come una bomba”. E troviamo casi analoghi a Pisa, Rosignano, Marina di Carrara, Talamone. Una orgia dionisiaca dei porti turistici ha preso la costa toscana, una macabra danza del cemento che devasta il paesaggio e opprime il territorio. Tutto questo in un contesto nazionale dove i centri storici delle nostre meravigliose città, lo sottolinea Settis nel suo libro, “eredità preziosa ma fragile, tendono a perdersi entro le periferie che li assediano, capovolgendo ogni gerarchia: piazze medievali, cattedrali e palazzi comunali stanno per diventare una sorta di quartiere dei giochi o di shopping center artificiale, più simile alle evocazioni di cartapesta di Las Vegas che alle città di Dante e di Palladio”.

Nostalgia del passato? No. Sdegno per il presente, direi, e allarme per il futuro! Ridurre lo spazio storico a cartolina significa rendere il passato solto un possibile oggetto di consumo, una merce da sfruttare. Discutere e riflettere su cosa sia bene comune rischia di apparire accademico, quasi beffardo. Eppure di questo si tratta, del bene comune, della sua frantumazione concettuale e del suo stupro materiale.

In una regione così densa di tempo storico, artistico, culturale come la Toscana, questo stride particolarmente. Destra e sinistra hanno esaltato le virtù del mercato e non siamo stati lontani dal farci togliere dai privati perfino l’acqua. Abbiamo davvero bisogno di essere tutelati da chi usa i beni comuni per i propri interessi? Crediamo alla favola della mano invisibile che riesce a conciliare gli interessi pubblici con gli egoismi privati? Eminenti colleghi hanno firmato un appello sulla legge dimenticata, quella della partecipazione, invocando la necessità di una discussione pubblica sulle grandi decisioni. E’ un buon modo per avviare una cura di quella che chiamo patologia della complessità, malattia di cui sono affette istituzioni e amministrazioni pubbliche.

E’ importante che il Presidente della Regione, primo fra tutti, attivi l’ascolto delle associazioni volontarie e territoriali, dei cittadini, di coloro che, per dirla con Kant, partecipano con entusiasmo alle questioni sociali e ambientali e non vogliono perdersi nel labirinto dei rinvii delle competenze, delle compatibilità e di tutte quelle inutili diavolerie che rendono le istituzioni e la politica così lontane dalla vita della società e così vicine al cemento.

Intanto la foresta continua a crescere in silenzio.

Alfonso M. Iacono

Il Tirreno 30.7.2011 (Lettere e Opinioni)