Piccola Italia di Maremma. Scrive Rossano Pazzagli

Piccola Italia di Maremma. Scrive Rossano Pazzagli

La provincia di Livorno tra storia e identità mancata. La Val di Cornia, area complessa e affascinante:

Spesso si dà effettiva importanza alle cose quando non ci sono più, mentre stanno per mancare o sono in pericolo. Così è per la salute e per tanti altri aspetti della vita, ma è vero anche per la storia e per le scienze umane e sociali in genere: è stato solo con la crisi ambientale, ad esempio, che la storia, la sociologia e l’economia hanno cominciato a occuparsi di ambiente; è stato così anche nei confronti dell’agricoltura e del territorio rurale, della famiglia, della comunità. Come è noto, ultimamente abbondano gli studi sulla democrazia, segno di una deriva postdemocratica verso cui anche il nostro sistema politico si è avviato.

Sarà così anche per le province, ora che questo livello istituzionale sembra in via di superamento? Dico “sembra”, perché in realtà, nonostante i proclami mediatici, la legge Del Rio non abolisce le province, ma le trasforma in organi di secondo livello, quindi più burocratizzate e distanti dai cittadini. In alcuni casi l’istituzione Provincia riguarda ambiti territoriali disegnati a tavolino e mai pervenuti ad una chiara identità. La provincia di Livorno ha una storia breve e un territorio particolare.

A guardarla bene su una cartina, a prima vista essa sembra una piccola Italia, con il promontorio di Piombino al posto della Calabria e l’Isola d’Elba simile alla bella Sicilia.

Si tratta di una provincia giovane e per alcuni aspetti artificiale: istituita nel 1925 includendovi quella che fino ad allora era la Maremma Pisana, fatta di colline e pianure investite da processi di bonifica che tra ‘800 e ‘900 avevano contribuito a costruire il paesaggio attuale. Livorno è una città mediterranea, vivace e interessante, ma assai lontana dal resto del territorio, sostanzialmente estranea ai caratteri della Maremma di Cecina o di Piombino, di Suvereto o di Campiglia. Mondi che hanno avuto difficoltà a parlarsi e che tuttavia conservano un ricco patrimonio di eredità e di identità in termini di beni culturali e ambientali, di tradizioni e di paesaggi. Come l’Italia, essa ha mantenuto varietà e diversità interne, non riuscendo a portare a fondo un chiaro processo unitario.

La Val di Cornia, in particolare, è stata da sempre un’area complessa e affascinante, una terra abituata alle difficoltà e al cambiamento.  Essa si estende oggi sul limite di tre province (Livorno, Grosseto e Pisa), occupando la piana alluvionale del Cornia, il promontorio di Piombino e i rilievi litoranei del Campigliese, con una proiezione all’interno verso le Colline Metallifere. Si tratta di un territorio fondato su una struttura medievale di borghi e torri costiere, facenti corona ad una piana rimasta a lungo paludosa, ornata di tomboli e cotoni che rendevano incerto il confine fra terra e mare. Questo sistema,  in gran parte creato fra il X e il XVI secolo per quanto concerne il reticolo degli attuali centri storici e fortificazioni, riprendeva tuttavia i segni delle civiltà etrusca e romana, che erano fiorite nell’antichità attorno alla città di Populonia e al sistema delle ville. In quest’area, accanto al prevalere delle attività agricole e forestali, si susseguono nel lungo periodo sistemi produttivi imperniati sul settore minerario-metallurgico e in particolare del ferro: da quello etrusco a quello dell’età medicea, che comprendevano anche l’Isola d’Elba, fino all’insediamento moderno dei grandi stabilimenti siderurgici, che prende avvio a Piombino verso la fine del XIX secolo per giungere fino ai giorni nostri.

Questa zona, segnata dalla lontananza delle grandi realtà urbane, ha conosciuto storicamente divisioni profonde e, al tempo stesso, una consapevole aspirazione a funzionare come area omogenea e integrata. Basti ricordare che la Val di Cornia è stata a lungo terra di frontiera, non solo per la sua collocazione costiera, ma soprattutto perché attraversata per più di quattro secoli dal confine politico fra la Toscana medicea e lorenese (di cui facevano parte Campiglia e Sassetta) e lo Stato di Piombino degli Appiani e poi dei Boncompagni Ludovisi, a cui apparteneva Suvereto insieme ad altri territori esterni alla vallata del Cornia, come Buriano, Scarlino e l’Isola d’Elba. Dopo il definitivo e completo passaggio allo Stato toscano a seguito del Congresso di Vienna, in epoche più recenti questa parte della Maremma pisana è stata interessata da vari mutamenti istituzionali che l’hanno vista oscillare alternativamente verso Pisa, Grosseto e Volterra, fino al suo inserimento nella nuova Provincia di Livorno istituita sotto il fascismo.

Oltre ai cambiamenti politico-istituzionali, la Val di Cornia ha incontrato nel tempo, come il resto della Maremma, difficoltà ambientali enormi e ha dovuto fronteggiare problemi sociali altrettanto importanti: da quelle dei secoli passati (le paludi, la malaria, la scarsità di popolazione, il degrado territoriale) a quelli della nostra era (l’inquinamento, la disoccupazione, il consumo delle risorse naturali, l’invecchiamento demografico). Entro un quadro ambientale di questo tipo, la debolezza dell’azione plasmatrice (o di costruzione territoriale) da parte delle città, che si è fatta invece sentire marcatamente nei contadi storici della Toscana, ha fatto sì che la Val di Cornia rimanesse per lungo tempo caratterizzata da un’economia precaria, sempre in bilico tra la componente agricolo-forestale e quella marittima e industriale, senza che nessuna di queste fino al secolo scorso prevalesse mai nettamente sulle altre.

Se a prima vista ciò può apparire soprattutto un elemento di debolezza, è anche vero che questa incessante ricerca di un assetto stabile, sia sul piano territoriale che su quello economico, ha lasciato una cospicua eredità di culture e di risorse, tanto che già intorno al 1830 lo scrittore Emanuele Repetti poteva scrivere come “poche valli racchiudono al pari di questa della Cornia in tanto piccolo perimetro oggetti da richiamare la curiosità e le indagini tanto dei cultori della storia naturale, quanto di quelli che studiano la storia e le vicende politiche dei popoli.” Un secolo prima anche il naturalista Giovanni Targioni Tozzetti aveva rilevato qui il “sorprendente fenomeno della riunione di tante ricchezze naturali”. L’attività mineraria – dal ferro etrusco al rame, piombo e stagno del Campigliese, all’allume di Montioni – ha alimentato nel tempo la tradizione metallurgica del territorio e oggi che le miniere non ci sono più i loro resti sono stati in buona parte inseriti in un sistema di parchi archeologici e culturali.

Questi tratti essenziali hanno conferito alla Val di Cornia la fisionomia di un territorio incerto, aperto e accogliente per necessità, ricco di potenzialità ma fortemente problematico, cosicché la sua identità è rappresentata da un processo ininterrotto di fratture e di mutamenti, di progressi e di repentini ritorni a situazioni precedenti,  più che da percorsi lineari di continuità: una storia a grandi balzi nella quale la bonifica delle terre e l’insediamento di poderi e fattorie sono andati sommandosi alla trama degli insediamenti medievali dando origine a un paesaggio dai forti significati.

L’industria novecentesca – i grandi impianti siderurgici di Piombino – ha costituito in questo senso la prima fase di certezze, un’ancora di salvezza in una terra tormentata, con il superamento dei limiti storici ed il delinearsi di un modello economico che sembrava finalmente stabile e forte, caratterizzato dalla polarità di Piombino e dalla centralità degli stabilimenti, che verso la fine del XIX secolo inserirono Piombino tra i luoghi della prima ondata dell’industrializzazione italiana. Ma era uno sviluppo essenzialmente esogeno, trainato da capitali, lavoro, materie prime e mercati in prevalenza esterni. Forse è stata anche una lunga illusione, come la Provincia. La Provincia e l’industria, pur senza annullarle, hanno nascosto a lungo le diversità dei territori e delle comunità locali, le risorse e i valori di un’area complessa. Oggi che stanno poco bene entrambe, è giunto il momento di rimettere al centro il territorio, le sue istituzioni locali e il cospicuo patrimonio ambientale e culturale che la natura e la storia hanno accumulato qui, su questa terra incastonata tra Maremma e Toscana, piccola metafora dell’Italia in declino.

Rossano Pazzagli

Tratto da: Il Nuovo Corriere dell’Alta Maremma, maggio 2014

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