Quelle chiome ci appartengono

Quelle chiome ci appartengono

di ROSSANO PAZZAGLI*

Con i cipressi lungo le strade rischiamo di perdere un elemento caratteristico del paesaggio toscano. Alle malattie, che in passato hanno colpito altre piante, come l’olmo, si aggiunge l’incuria dell’uomo. Non solo i cipressi, ma tutti i viali alberati sono sotto attacco.

Sotto la spinta emotiva di qualche grave incidente, dimenticando la responsabilità di errate strategie gestionali della mobilità, sono le tradizionali alberature a finire sotto accusa. Qualcuno propone addirittura l’abbattimento indiscriminato di interi filari di piante, ignorando le funzioni che questi hanno a lungo svolto e che in qualche misura possono ancora svolgere.

I viali alberati sono la più antica forma d’inverdimento ai bordi delle strade. Tiglio, acero, quercia, platano, pino, ma anche noce, carpino, faggio, gelso, cipresso: queste le piante che più frequentemente incontriamo. Per lungo tempo si è usato soprattutto l’olmo, prima che una aggressiva malattia fungina (Ophiostoma ulmi) ne falcidiasse i filari.

alberate stradali

Le alberature stradali, simili per certi aspetti alle alberature che segnano i confini dei campi, hanno rivestito nel corso del tempo, ruoli e funzioni produttive: nate per delimitare meglio la strada, dare ombra agli uomini e alle bestie, favorire la tenuta idrogeologica della carreggiata, assicurare materiali vegetali. legname, foglie, frutti, difesa dal vento e dalla pioggia, esse costituivano un ambiente adatto agli spostamenti degli animali e delle persone. Per tutti questi motivi le alberature stradali hanno rappresentato un segno quasi indelebile, un elemento di resistenza al processo di banalizzazione del paesaggio che ha preso piede soprattutto nell’età contemporanea.

Nell’age of oil, o età dell’automobile, molte di queste funzioni non risultano più compatibili con gli stili di vita e le modalità degli spostamenti, ma non è fuori luogo domandarsi quante e quali di esse possono essere attualizzate o addirittura rilanciate nell’ottica di una nuova mobilità sostenibile. Dove sono finiti oggi i grandi viali alberati? Perché sono soffocati dall’incuria e dall’ invasione delle macchine?

Se lo chiedeva qualche anno fa Pietro Citati, che lanciava il suo j’accuse per le fronde messe a repentaglio dallo smog e dalle malattie. Ma si deve pensare soprattutto alle battaglie di Antonio Cederna, uno dei padri dell’ambientalismo, che parlava di “guerra agli alberi” per denunciare i tagli indiscriminati, tra anni ’50 e ’60, dei filari di alberi che “senza colpa né peccato” ombreggiavano le strade statali.

Il paesaggio stradale è molto cambiato e sempre più, al posto degli alberi sono stati inseriti altri elementi. La strada contemporanea ha visto affermarsi in modo sempre più massiccio i tunnel a ogni minimo rilievo del terreno, le palizzate fitte dei lampioni e dei tabelloni pubblicitari, le barriere antirumore, le scarpate cementificate e soprattutto le abusate rotonde.

Forse è giunto il momento di ripensare a una estetica delle strade che parta dalla lettura del territorio e non dalla priorità dell’automobile, dalla qualità del viaggio e non dall’ansia della meta. In questo senso la salvaguardia delle alberature tradizionali, dei ruoli e delle funzioni che esse hanno svolto nel tempo, è utile per ricostruire un rapporto equilibrato tra infrastrutture e paesaggio. Gli alberi isolati sopravvissuti ai bordi delle strade sono da salvaguardare come parte significativa del patrimonio arboreo del Paese, considerando tutte le possibili soluzioni alternative all’abbattimento. Dobbiamo ritrovargli un senso, una dignità e un’utilità, senza dimenticare che la strada è anche un segno culturale impresso sul territorio.

*(storico, docente all’Università del Molise e membro della Società dei Territorialisti)

 

ALLARME CIPRESSI

 

Cinara cupressiMentre la terribile xylella colpiva centinaia di olivi secolari nell’afa dell’estate pugliese, un piccolo insetto si muoveva lungo la Toscana compromettendo migliaia di cipressi. Il nemico della pianta cara al Carducci, si chiama Cinara cupressi ed è una capocchia di spillo di tre millimetri. Come la zanzara si sposta di casa in casa a caccia di sangue l’afide del cipresso salta da una pianta all’altra per nutrirsi di linfa. Si muove tra il fusto e i rami poi “punge” il vegetale rilasciando la sua saliva tossica. Gli effetti di questo rituale sul simbolo paesaggistico della Toscana sono devastanti: le piante da alte e schiette diventano secche, le chiome si tingono di un rosso ruggine, sembrano bruciate, i fusti si indeboliscono.

L’ALLARME
L’emergenza si è distribuita a macchia di leopardo già dalla primavera. E se le foreste sembrano in qualche modo essersi salvate dalle punture le piante ornamentali che impreziosiscono le ville storiche, quelle che accompagnano le passeggiate verso i viali cittadini o i pellegrinaggi al camposanto si sono tinte di rosso. “Probabilmente nelle foreste hanno giocato un ruolo chiave gli antagonisti naturali (uccelli, lucertole, ndr) – spiegano dal servizio fitosanitario della Regione – ma anche l’andamento climatico che caratterizza le città o il traffico possono essere stati elementi chiave in questo attacco. La diffusione dall’afide del cipresso in questi mesi è stata rapida ed estesa. Come non si vedeva da tempo”. Da almeno venti anni.

GLI ATTACCHI
Curiosamente proprio il numero venti ricorre nella genesi dell’attacco alla pianta: la prima diffusione massiccia di Cinara cupressi è stata descritta in Toscana tra il 1976 e il 1978. Un’altra ondata preoccupante si verificò venti anni dopo, nel 1996 e ora, a distanza di un altro ventennio, la storia si ripete. Restano solo da scoprire le cause di questa invasione di afidi che vivono 20 giorni ma che prolificano senza sosta (un esemplare può partorire fino a 50 figlie).

I DANNI
cipressiLa maggior parte degli studiosi ritiene che il loro arrivo sia favorito da fattori climatici, soprattutto da inverni miti. Ma vista la sporadicità degli eventi, non esiste uno studio completo sulle cause. Come non esistono numeri ufficiali su danni. Si calcola che il cipresso sia distribuito su circa 17.000 ettari in tutto il Granducato e che gran parte degli esemplari sia stata attaccata con ad eccezione delle piante che si trovano nelle foreste e a quelle più vicine al mare o in montagna.

Per fortuna, come spiegano dal Comune di Castagneto Carducci non si sono notati danni al viale di Bolgheri mentre gli esemplari che tra Firenze e Fiesole impreziosiscono le antiche ville e la salita al vecchio paese sono state compromesse. Al punto che l’amministrazione di Fiesole, su pressione dei cittadini, ha convocato nel giugno scorso un incontro pubblico coi maggior esperti in tema per fare il punto della situazione. L’allerta era stata lanciata ad aprile proprio dal servizio fitosanitario della Regione.

Una nota informava che erano stati che “nuovamente osservati su cipressi ornamentali e in filari e boschetti situati in varie località della Toscana danni, localmente anche gravi, causati dagli attacchi dell’afide Cinara cupressi” ed invitava i cittadini ad attivarsi per tempo. E la tempestività, come spiegano gli esperti è la chiave per riuscire ad evitare la morte del cipresso. “Quando il danno diventa evidente e la chioma è rossa – spiegano dalla Regione – l’insetto se n’è già andato e a quel punto non resta che cercare di salvare il salvabile”.

LA MACCHIA
Per valutare l’entità del danno, però, si dovrà aspettare ancora qualche mese. “Almeno fino al termine dell’inverno quando sapremo quante piante sono sopravvisute”, continuano dal servizio fitosanitario della Regione. Resta comunque il danno d’immagine. Infatti, anche nel caso in cui le piante dovessero salvarsi rimarrebbero per almeno cinque o sei anni irrimediabilmente con le chiome color rosso ruggine. «Il paesaggio toscano rischia di cambiare profondamente perché poi, una volta che la malattia ha aggredito le piante, queste si seccano e muoiono» dice Alessandro Corsinovi, presidente dell’Associazionbe centri studi della Toscana. Gli esperti invitano comunque le amministrazioni o i privati cittadini a non potare o tagliare le piante.

Rino Bucci – Il Tirreno 12.9.2015

 

image_pdfSalva Pdfimage_printStampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *