Si fermi l’erosione, ma lo si faccia davvero (CambiaVerso)

Si fermi l’erosione, ma lo si faccia davvero (CambiaVerso)

 Siamo davvero stupiti dello stupore per aver posto un problema reale su cui molti cittadini si interrogano e che, per altro verso, si colloca nel solco della relazione generale del Piano Particolareggiato di Baratti del 2012. Il piano evidenziava come le criticità dovute all’erosione della costa siano un tema naturalistico, di fruizione dell’arenile ma anche di tutela dei beni archeologici, visto lo straordinario documento stratigrafico – archeologico presente.

Il Piano, insomma, si poneva già il tema dell’equilibrio tra più funzioni: balneare e ricerca archeologica, nel quadro di una progressiva erosione della costa. Noi abbiamo solo evidenziato un problema che fa i conti con i fatti, ovvero che da un lato il progetto antierosione e di ripascimento non è partito, mentre l’attività archeologica è cresciuta in maniera rilevante sull’arenile, con il rischio di un cortocircuito tra processi che avrebbero dovuto andare di pari passo.

Per questo abbiamo posto laicamente il problema di valutare l’impatto dell’ attività archeologica su un arenile che necessita di interventi urgenti di ripascimento, finanziati da molti anni e al momento non realizzati . Questo è il punto su cui ci si dovrebbe interrogare senza guerre di religione né tabu perché basta fare un giro a Baratti e si può facilmente notare, come in un tratto del golfo ci siano cantieri aperti piuttosto visibili a fronte di un arenile del tutto consumato.

C’è bisogno di una visione di insieme e di governo del sito che non è certamente un compito ascrivibile alla comunità archeologica. C’è bisogno di attuare il piano in ogni sua parte: realizzare gli interventi antierosione, di ripascimento e cura delle spiagge, riqualificare il pratone e la pineta da attività incongrue, riqualificare il campo boe esistente unitamente al lungomare, avere una dotazione di servizi più funzionale; lavorare, insomma, con obiettivo del rafforzamento dell’identità paesaggistica per una fruizione turistica calibrata sull’unicità del luogo.

Chi si occupa nell’amministrazione pubblica di assetto del territorio ed ha a cuore, nel concreto, la funzione archeologica dovrebbe occuparsi di un equilibrio tra funzioni diverse e complementari proprio per evitare il rischio che vengano percepite come in conflitto. In questo senso anche la Società dei parchi può svolgere un ruolo autonomo non essendo una semplice sezione distaccata della Soprintendenza, ma un soggetto pro attivo per la gestione dei beni culturali e lo sviluppo turistico del territorio.

Associazione CostaToscana CambiaVerso

 

La polemica di Baratti «Noi eravamo lì proprio per la falesia…»

Alessandro Viesti ha 36 anni, è di Taranto. Lui, Carolina Megale e Giorgio Baratti sono i tre archeologi che hanno condotto (anche) gli ultimi scavi di Baratti. Viesti è venuto in redazione dopo le ultime polemiche innescate da un comunicato di Cambiaverso, con cui l’associazione chiedeva di fermare gli scavi lungo la spiaggia in modo da non pregiudicare la tenuta della falesia.

Con Viesti c’è Helga Mariorana, venticinquenne empolese. Lei è quella che ha recuperato la famosa tomba dei bambini, ma anche il cassone del Ficaccio, altro reperto che la scorsa estate scatenò un’ondata di polemiche per la collocazione prevista ai Villini.

Oggi non si parla di location ma di scavi condotti in modo non ortodosso, secondo i sostenitori della posizione di Cambiaverso. «Mi hanno accusato di aver lasciato la falesia come Beirut…» dice Viesti. E invece? «E invece qualcuno non sa di cosa stiamo parlando. Noi eravamo lì proprio per l’emergenza alluvione del 28 ottobre. Giorgio (Baratti) è stato tra i primi a intervenire dirottando i suoi ragazzi proprio sulla spiaggia. Carolina (Megale) ha fatto un ottimo lavoro lungo le mura di cinta di Populonia, delle quali peraltro non conoscevamo l’esistenza. E le mura non le abbiamo scavate noi, ci ha pensato il nubifragio».

Insomma, il lato positivo del nubifragio. «Non si dovrebbe dire, ma sì. E soprattutto ha formato un meraviglioso gruppo di lavoro». E la spiaggia? «Ripeto, siamo partiti per bonificare quell’area da eventuali presenze archeologiche proprio perché doveva essere ripristinata la falesia. Anzi, dovrà essere ripristinata. Subito dopo Pasqua. E’ tutto previsto. Poi abbiamo trovato qualcosa come 18 sepolture e tantissimi reperti».

Lei sta parlando del post alluvione. Ma le polemiche riguardavano anche scavi precedenti. «Scavi scientifici sulla spiaggia non se ne fanno da 20 anni – interviene Maiorana – gli unici sono stati questi e il famoso cassone al Ficaccio: fino a qualche anno fa se ne vedeva un pezzettino, a fine agosto era esposta quasi tutta la fiancata». «Se lo avessimo lasciato lì, il 28 ottobre lo avremmo ritrovato in mare – riprende Viesti – Guardate che la Sovrintendenza ha precise responsabilità: se un reperto è in pericolo bisogna asportarlo».

Torniamo al post alluvione. «Quando siamo arrivati l’acqua aveva già mangiato la costa. C’erano tamerici divelte e morte. Anche se alcuni hanno detto che le abbiamo tagliate noi… Il nostro compito era spostare quelle e il poco terreno rimasto, ripulire e controllare che non ci fossero reperti. Il ministero dei Beni culturali aveva stanziato, nel giro di tre giorni, 150mila euro per l’emergenza. E una ditta di Firenze, la Ragionieri restauri, aveva vinto l’appalto. Noi abbiamo finito lunedì scorso, ora interverrà la ditta. Credo che dopo Pasqua tutto sarà ripristinato».

Quelle buche quindi verranno coperte. «Certo. E quelle buche non sono state fatte così, tanto per fare. Io ho scavato una necropoli ad incinerazione, sono pozzetti che contengono vasi all’interno dei quali venivano messe le ossa del morto». «Gli etruschi facevano una buca – spiega Mariorana – la rivestivano con lastre di alberese, quindi vi sistemavano l’urna con le ceneri. A volte anche il corredo. Infine tappavano con un’altra lastra di alberese. In questi casi si invidua il taglio della tomba, si scava tutto intorno e si recupera il cinerario». «Così deve avvenire – riprende Viesti – E abbiamo lavorato in una situazione da delirio, sopra una falda sorgiva di acqua dolce che proviene dalla collina, quindi non canalizzata. Finché eravamo in fase etrusca, quindi settimo secolo avanti Cristo, eravamo nel terreno marrone. Quando siamo arrivati allo strato sabbioso ci siamo trovati nell’acqua. L’ultimo pozzetto che abbiamo scavato, il più alto, era già allagato. Siamo stati costretti, insieme ai custodi che ringrazio, a fare i canaletti per farla defluire. Sono quelle trincee che ora fanno tanto discutere. Abbiamo scavato anche contro il tempo. Una notte ci siamo ritrovati a scavare nell’acqua e ringrazio Stefano Bagnoli di Venturina, intervenuto con il suo gruppo elettrogeno»».

Il valore di queste scoperte? «Inestimabile. Ho riempito due depositi. Ci sono reperti fantastici. Penso a una fibula a disco, trovata in uno dei pozzetti, uguale a quella recuperata nella tomba dei bambini, del nono secolo a.C. E’ stata già restaurata. Gli stessi corredi della tomba dei bambini: quattro fibule in bronzo, di cui una con campanelle in argento e una in avorio, una cotta in maglia di bronzo, due fermatreccioli, una collana in ambra. Tutti già inviati al centro restauro a Pisa. Ci sarà una mostra temporanea, poi tutto tornerà al museo di Piombino in base a un accordo tra Parchi, Sovrintendenza e Comune».

Come avete vissuto queste polemiche? «Male. Ma sono sereno perché ho percepito l’entusiasmo della gente venuta sul cantiere».

Alessandro De Gregorio – Il Tirreno 21.3.2016

 

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